Era diventata la sua magnifica ossessione. Gli anni passavano ed a lui restava sempre meno tempo per conquistare la sua preda. DI lì a poco, ma non poteva ovviamente saperlo, sarebbe passato da campione a mito immortale, fermato per sempre, dopo aver schivato rischi e pericoli in pista, da un incidente aereo che si portò via, assieme a lui, la speranza dell’automobilismo inglese Tony Brise e quattro componenti del suo team. Aveva 46 anni Graham Hill, troppo pochi per andarsene ma sufficienti per entrare nella storia del motorsport.
La magnifica ossessione di Graham Hill era la Triple Crown, la tripla corona. Ovvero vincere in carriera il Mondiale di Formula 1, la 500 Miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans. A seconda delle opinioni, c’era una seconda versione della Triple Crown, ancora più difficile: 24 Ore di Le Mans, 500 Miglia di Indianapolis e Gran Premio di Montecarlo che, tradizionalmente, si svolgeva nella stessa data della gara nel catino dell’Indiana.
Il baffo più famoso, assieme a Colin Chapman, della Formula 1 nel 1962 aveva conquistato il titolo mondiale di F1 che vincerà nuovamente nel 1968, l’anno dopo aveva vinto il GP nel Principato della Costa Azzurra che si porterà a casa anche nel 1964, 1965, 1968 e 1969. Restavano in ballo Indianapolis e Le Mans.
Nel 1966 vola oltre oceano per debuttare alla 500 Miglia con una Lola-Ford dato che la stagione in F1 va maluccio e il titolo è un miraggio. Graham è un rookie ma impara in fretta e la fortuna è dalla sua parte, cosa che non guasta mai: la gara è dominata da Jackie Stewart, suo compagno di squadra a Indianapolis come in F1, ma la vettura dello scozzese va in panne proprio in prossimità del traguardo e per Hill arriva la vittoria al primo tentativo. I due anni successivi invece lo vedranno sempre abbandonare, per incidente o problema meccanico.
Restava la 24 Ore di Le Mans. Era dal 1958 che ogni anno s’allineava al via della maratona della Sarthe: su nove partecipazioni aveva totalizzato sette ritiri, un decimo posto (nel 1965 con Jackie Stewart su una Rover a turbina) ed un secondo posto, nel 1964 su una Ferrari 330 P della Maranello Concessionaries assieme allo svedese Joakim Bonnier. A Graham Hill mancava solo la Le Mans per completare la Triple Crown, così vicina e così irraggiungibile. Dopo il ritiro del 1966 (correva con una Ford GT40 assieme a Brian Muir) decise di dire basta alla 24 Ore francese. Anche se la Triple Crown rimaneva la sua ossessione. Graham Hill continuò a correre in Formula 1 ma la Le Mans, con la Triple Crown, era un pensiero non ancora abbandonato.
L’occasione buona arrivò nel 1972, Graham Hill aveva già 43 anni. In quella stagione vennero banditi dal Mondiale Marche i motori di 5 litri, ovvero quelli delle Porsche, a favore dei più piccoli “tremila” di cui disponevano Alfa Romeo, Ferrari e Matra con queste ultime due più competitive della Casa milanese.
La Ferrari preferì non portare la sua 312 PB a Le Mans per timore che non fosse affidabile sulla lunga distanza essendo stata sviluppata per le “1000 Km” che completavano il calendario del Campionato mondiale. Viceversa la Matra, che era alla fine della sua avventura in F1 ed all’inizio di quella nelle gare di durata, tralasciò la serie iridata per concentrarsi sulla 24 Ore di Le Mans diventando automaticamente la favorita per il successo nell’edizione numero 40 in programma tra il 10 e l’11 giugno su un tracciato rinnovato: erano state inserite delle curve, che verranno denominate Porsche, tra Arnage e la chicane Ford (che fu raddoppiata) per evitare il tratto di Maison Blanche tra le case.
I francesi schierarono tre nuove MS670 per gli equipaggi Cevert-Ganley, Pescarolo-Hill e Beltoise-Amon mentre una più vecchia, ma affidabile, MS660 venne affidata a Jabouille-Hobbs. L’Autodelta rispondeva con le Alfa Romeo 33T3 di Stommelen-Galli, Elford-Marko e Vaccarella-De Adamich. A fare da corollario le Lola T280 a motore Ford dell’Ecurie Bonnier di Bonnier-Larrousse-Van Lennep e Araujo-De Bragation-De Fierlandt. A tenere alto l’onore Porsche la 908 LH privata di Reinhold Joest, Michel Weber e Mario Casoni.
In prova la MS670 di Cevert-Ganley vola segnando il miglior tempo in 3’42”2 contro i 3’44”9 di Pescarolo-Hill ed i 3’46”0 di Beltoise-Amon. A seguire l’Alfa di Stommelen-Galli con il tempo di 3’47”9.
Alle 16 di sabato viene dato il via alla gara. La Matra di Beltoise-Amon va subito in testa imponendo un ritmo decisamente sostenuto. All’inizio del terzo giro, però, il loro motore V12 si rompe, ennesimo momento sfortunato nella carriera di Amon. I tecnici Matra temono una clamorosa disfatta e decidono di rallentare il ritmo delle altre vetture del team. Ne approfittano le Lola di Jo Bonnier e Hugues de Fierlandt che passano al comando, anche sotto la pioggia che fa capolino dopo un’ora di corsa. Bonnier fora, le Matra alzano il ritmo e all’ora di cena, dopo i primi pit-stop, sono di nuovo davanti le vetture francesi. Bonnier, ormai è sera, prova a pressare da vicino le due Matra sperando che, così facendo, possano rompere. Nel frattempo l’altra Lola si deve ritirare per la rottura del cambio.
Alle 22 comandano le Matra (Cevert-Ganley davanti a Pescarolo-Hill), seguono le tre Alfa Romeo e la 908LH di Joest, poi la Lola superstite. Verso mezzanotte, cambio al vertice con Graham Hill che aumentando il ritmo, supera i compagni di squadra. La notte scorre tranquilla alla luce dei fari con le due Matra davanti seguite dalle vetture italiane. All’alba Cevert-Ganley tornano al comando mentre le 33T3 iniziano ad avere qualche problema di trasmissione. Viaggia in quinta posizione la Porsche 908 LH di Joest-Weber-Casoni mentre la Lola di Bonnier-Larrousse-Van Lennep sta risalendo con prepotenza. Verso le 8.30 c’è al volante lo svedese Bonnier, che è anche proprietario del team: nei pressi della curva Indianapolis sta per doppiare la Ferrari 365 GTB/4 della Scuderia Filipinetti guidata in quel momento dal gentleman driver svizzero Florian Vetsch. Quest’ultimo cercò di spostarsi per far passare Bonnier ma entrambi i piloti scelsero la stessa traiettoria. La Lola, urtando la Ferrari di Vetsch, decollò andando a finire contro gli alberi e disintegrandosi. Per Bonnier non ci fu niente da fare. La gara venne interrotta due ore per portare via i resti del pilota e togliere i detriti della vettura dalla pista.
A quel punto era tutto deciso o quasi con Cevert-Ganley davanti e Pescarolo-Hill dietro mentre la MS660 di Jabouille-Hobbs era costretta al ritiro per problemi di trasmissione. Invece all’ora di pranzo l’ennesimo colpo di scena: la Matra di testa viene colpita da una Chevrolet Corvette al posteriore e deve tornare al box per essere riparata. Henri Pescarolo e Graham Hill passano al comando andando a vincere con dieci giri di vantaggio sui compagni di squadra. Al terzo posto, staccata di 19 giri dalla vetta, la Porsche di Joest-Weber-Casoni davanti all’Alfa Romeo di De Adamich-Vaccarella.
Graham Hill ce l’ha fatta, ha vinto la 24 Ore di Le Mans. E quella magnifica ossessione chiamata Triple Crown è diventata realtà. Fino ad ora è l’unico ad essere riuscito nell’impresa, tra i piloti in attività possono insidiarlo Juan Pablo Montoya (vincitore a Indianapolis ed a Montecarlo) e Fernando Alonso (Campione del Mondo di F1, primo nel Principato ed a Le Mans).
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