Il tracciato ricavato sulle strade livornesi fu apprezzato da piloti e tecnici per le sue caratteristiche. E nel 1937 ospitò il Gran Premio d’Italia, vinto da Rudolph Caracciola sulla Mercedes
Nella primavera del 1921, una visione audace prese forma nella mente di Paolo Fabbrini, allora proprietario e amministratore del rinomato giornale “Corriere di Livorno”. Riuniti alcuni amici, presentò loro un’idea che avrebbe trasformato il tessuto stesso della città: la creazione di un circuito automobilistico. Quest’opera, secondo Fabbrini, non solo avrebbe arricchito la città, ma avrebbe anche aumentato il suo appeal turistico.
L’entusiasmo che questa proposta suscitò fu immediato e travolgente. In pochissimo tempo, un comitato venne costituito, con il principe Ginori come presidente e il conte Guicciardini come vice, affiancati dall’ingegnere Angiolo Rosselli. Tra i membri del comitato c’era anche Modesto Baroncini, un corridore motociclistico, il cui bagaglio di esperienza nel campo della velocità avrebbe fornito un contributo alla progettazione del circuito.
Sotto la guida dell’ingegnere Rosselli, il tracciato prese forma rapidamente. E fu in quel momento che nacque il nome che avrebbe dato identità e prestigio alla gara: la “Coppa Montenero”, un omaggio al colle che sovrasta la città. Negli anni, la Coppa Montenero divenne una tappa importante per piloti e case automobilistiche che in terra labronica mettevano alla prova le proprie macchine perchè il circuito era impegnativo, con curve di vario raggio che salivano fino al Castellaccio da dove si discendeva vertiginosamente verso il mare, zona dove si trovavano lunghi rettilinei.
Le prime edizioni videro la partecipazione di un gruppo di coraggiosi piloti toscani. Ma col passare degli anni, il prestigio della Coppa Montenero attirò talenti da ogni parte d’Italia. Il successo della Coppa Montenero crebbe ulteriormente quando Emilio Materassi, un giovane pilota fiorentino, si impose sulla scena automobilistica italiana. Materassi, vincitore per ben quattro volte della Coppa, contribuì a portare sul circuito livornese piloti del calibro di Tazio Nuvolari e Achille Varzi.
Nel corso degli anni, la gara si arricchì di ulteriori sfide, come la Coppa Ciano, riservata alle categorie sportive, e vide duelli memorabili tra Nuvolari e Varzi, che incantavano il pubblico lungo tutto il percorso.
Nel 1937 il Gran Premio d’Italia si corre a Livorno, l’Alfa si presenta con sette vetture (Belmondo, Nuvolari, Farina, Trossi, Brivio, Guidotti e Ruesch), contro ci sono cinque Mercedes (Caracciola, Brautschich, Lang, Seaman, Kautz) e quattro Auto Union (Rosemeyer, Varzi, Stuck, Muller), settimo Nuvolari, a vincere fu Rudolph Caracciola. L’anno successivo festeggia ancora la Mercedes con Lang primo davanti a Farina con l’Alfa, ma la casa milanese fece correre nella classe fino a 1500 cc una nuova vettura, l’Alfetta, che vinse con Villoresi. Nel 1939 vinse Farina alla media di 139 km/h davanti alla Maserati di Cortese.
Ma l’epoca d’oro della Coppa Montenero finì con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Dopo un breve tentativo di rinascita nel 1947, il circuito corto del 1939 ospitò l’ultima edizione della gara nel 1953.