La velocità, ancor più che la forza e la resistenza, ha sempre affascinato l’uomo. Nel corso dei secoli ha cercato di essere il più rapido, a piedi, a cavallo o con qualsiasi altro mezzo. Non stupisce quindi che, con l’avvento dell’automobile e della motocicletta, questa sfida contro sé stessi e contro le leggi della fisica si sia articolata in decine di modi diversi.

Già alla fine del XIX secolo ciclisti-acrobati senza timore del pericolo si esibivano in pedalate a grande velocità nella scia di auto o moto. Bisogna arrivare al 1962 per trovare il primo ciclista in grado di superare i 200 chilometri orari: è il francese Josè Meiffret che segna la velocità di 204,778 km/h dietro una Mercedes 300 SL su un’autostrada tedesca. Undici anni dopo “The Flying Doctor”, ovvero il medico americano Allan Abbott, sul deserto salato di Bonneville raggiungie dietro ad una Chevrolet del 1955 i 223,466 chilometri orari.

L’eterna sfida alla velocità solleticò, nel 1978, le ambizioni di Jean Claude Rude. Nato il 28 settembre 1954 a Reutlingen, in Germania, da un soldato francese in quel momento di stanza là, il ciclista transalpino era un pistard, ovvero uno specialista delle gare su pista. Al suo attivo qualche piazzamento in gare per dilettanti ed un paio di titoli regionali a cronometro. Era convinto di poter raggiungere i 240 km/h in bicicletta.

C’è bisogno di una macchina potente da seguire con la bici. Rude riesce a mettersi in contatto con Henri Pescarolo che all’epoca, il 1978 ricordiamolo, corre con le 935 del team Kremer nelle gare di durata mentre a Le Mans è pilota ufficiale Porsche. Pescarolo dapprima è scettico sul progetto, poi viene affascinato dall’entusiasmo di Jean Claude ed accetta la sfida.

Il pilota francese sente gli uomini Porsche e la Casa tedesca accetta di partecipare mettendo a disposizione una 935 Turbo da 800 CV. Alla gruppo 5 viene aggiunta, al posteriore, una vistosa carenatura che consente al ciclista di correre riparato dall’aria mentre sul paraurti viene piazzato un rullo su cui s’appoggia la ruota anteriore della bici.

La bicicletta di Rude, una Bianchi, ha un’enorme corona dentata all’anteriore mentre quella posteriore ha un diametro di appena due centimetri. Con un giro di pedale che è di circa 110 cm Rude poteva percorrere una distanza di a 27 metri. Il ciclista, per aiutarlo a sviluppare l’energia necessaria, doveva essere spinto da un addetto in moto.

Come teatro della prova fu scelta la pista di prova Volkswagen a Ehra-Lessien, vicino a Wolfsburg. Rude avrebbe aumentato gradualmente la velocità mentre la Porsche sarebbe dovuta andare abbastanza lenta in modo da permettere al ciclista di rimanere in scia. Tutt’altro che facile con 800 CV, il tipico ritardo di risposta del turbo e la tecnologia di allora.

Mercoledì 23 agosto 1978 alle 10,30 si comincia: parte Pescarolo con la 935, Rude lo segue nel “cono” d’aria mentre viene spinto da una moto usando un bastone apposito. Jean Claude arriva a 150 km/h ma quando Pescarolo inizia ad aumentare gradualmente la velocità, il tubolare posteriore della Bianchi si stacca dal cerchio rimanendo imprigionato tra ruota e telaio. Rude riesce a controllare la bici facendola scivolare di lato, perdendo gradualmente velocità e fermandosi dopo poche centinaia di metri, senza infortuni.

Il tentativo con la Porsche 935termina qui ma Jean Claude Rude non abbandona il suo sogno: l’anno dopo prova a battere il record di 154 km/h del tedesco Karl Heinz Kramer sui 100 metri ma cade nel finale mancandolo per un millesimo di secondo. Nello stesso anno raggiunge i 145 km/h dietro ad una moto su un tandem assieme ad Etienne Chapaz, ciclista cieco e con una gamba sola. Il 26 marzo 1980 Rude esce per un allenamento: sta correndo a fianco di un treno quando la turbolenza della locomotiva lo risucchia. Le ferite sono troppo gravi per Jean Claude che muore a neanche 26 anni.