E’ arrivato alla Ferrari quando, nella mia vita, il Corriere dei Piccoli stava lasciando il posto ad Autosprint. Aveva preso il sedile di Clay Regazzoni, il mio primo campione, e questo non deponeva di certo a suo favore. Nello stesso box poi si trovò ad avere a che fare con Gilles Villeneuve e lì Carlos Reutemann perse definitivamente la partita per conquistare il mio cuore di piccolo tifoso. E quando scelse l’avveniristica Lotus 80 con i colori Martini lo abbandonai al suo destino.

Però era un campione, gliene va dato atto. Meno di un fuoriclasse e più di un buon pilota. Per tutta la carriera zavorrato da un carattere che lo mandava in crisi nei momenti topici. Nei momenti in cui bisogna fare la differenza. Quando tutto girava per il verso giusto quel bel tenebroso che scioglieva i cuori di tante donne era imbattibile, quando un granellino di sabbia si infilava negli ingranaggi della sua psiche diventava un pilota come tanti altri, forse meno di altri. Un limite che l’automobilismo di quegli anni non perdonava.

Eppure Reutemann in carriera ha accumulato dodici vittorie, mica poche nella Formula 1 degli Anni ’70. Quattro con la Brabham prima che le monoposto di Ecclestone montassero il motore Alfa Romeo tra il 1974 ed il 1975 (anno in cui trionfò al Nurburgring), cinque tra il 1977 e il 1978 con il Cavallino e tre con la Williams finanziata dagli arabi (dove era arrivato prendendo di nuovo il posto a Regazzoni), compreso il GP di Monte Carlo del 1980.

Si è sempre trovato nel posto giusto al momento sbagliato, Carlos Reutemann: alla Ferrari campione del mondo quando Colin Chapman tirò fuori l’imbattibile Lotus 79 ad effetto suolo, alla Lotus stessa quando alla Williams grazie a Patrick Head interpretarono meglio di tutti l’effetto suolo e nel biennio 1980-1981 alla Williams quando la forza di Piquet e della Brabham, unita alla lotta intestina con il team ed il compagno Alan Jones, gli fecero perdere il titolo mondiale di F1 per un solo punto, nel 1981. All’ultima gara. Devastante.

A quel punto Reutemann capì che per lui in quel mondo che aveva frequentato per una decina di anni non c’era più spazio. In silenzio come era arrivato se ne andò lontano, cercando soddisfazione in altri mondi, prima di tutto la politica diventando Governatore di Santa Fè e poi senatore. Ebbe anche l’occasione – era il 2003 – di candidarsi alla Presidenza della Repubblica argentina sulle orme del suo “padre” politico Carlos Menem. Ma alla fine disse no, il suo carattere ancora una volta lo aveva colpito alle spalle.

El Gaucho triste lo chiamavano con perfidia i colleghi piloti, Enzo Ferrari pennellò per lui la definizione di “tormentato e tormentoso”. In patria vedevano in lui l’erede designato di Juan Manuel Fangio. Lui invece era solo Carlos “Lole” Reutemann, nato nel 1942 in una buona famiglia argentina di Santa Fè che aveva avuto il dono di saper guidare una F1. Ed anche una vettura da rally: nel 1981 si cimentò nel Codasur valido per il Campionato del mondo arrivando terzo assoluto con una Fiat 131 Abarth ufficiale assieme a Mirko Perissutti, risultato bissato nel 1985 su una Peugeot 205 T16 con il francese Jean François Fauchille. Correre quei due rally era quasi un regalo che lui faceva ai suoi connazionali: anche chi viveva negli angoli più sperduti del Paese aveva l’occasione di vedere da vicino almeno una volta “el campeon”, il più grande pilota argentino dopo Juan Manuel Fangio.

Anche se non siamo stati suoi grandi tifosi dobbiamo comunque ringraziarlo per tutte le emozioni e le gioie che ci ha regalato in Formula 1, in quella Formula 1 tanto diversa da quella di oggi. Riposa in pace, Lole, e grazie di tutto.