Il circuito di Monaco, stretto e pieno di curve, imponeva – almeno fino agli anni ’70 – ai corridori un eccezionale sforzo, sia fisico che psichico. A parte la ristrettezza della sede stradale e i marciapiedi rialzati ci sono due o tre punti estremamente insidiosi, dove anche a 50 all’ora una manovra sbagliata può determinare l’irreparabile. Uno di questi è l’inizio del breve rettilineo ricavato sulla banchina del porticciolo. In questo punto nel corso dei vari Gran premi di Formula 1 si sono verificati degli incidenti come quello che vide protagonista nel 1955 Alberto Ascari che piombò con la sua macchina in mare e che si dice essere una tra le cause dell’incidente mortale avvenuto qualche giorno dopo a Monza.

Gli organizzatori monegaschi hanno quindi pensato di ridurre la velocità modificando artificialmente la curvetta e sul ciglio della banchina una ininterrotta fila di balle di paglia avrebbe dovuto proteggere le vetture dai pali della luce e dai grossi piloni di attracco delle imbarcazioni. La modifica riduce la velocità delle macchine ma induce i piloti a sfiorare le staccionate con il pericolo di toccare una delle barriere con i mozzi delle ruote.

Il sabato prima del Gran Premio del 1967, nella gara per le macchine di Formula 3, si verifica in quel punto un groviglio di cinque auto e uno dei protagonisti, l’inglese Daghorn, ne esce con una gamba fratturata.

Ma il dramma avverrà il giorno dopo, domenica 7 maggio, durante il GP di Formula 1. Lorenzo Bandini, prima guida della Ferrari, già durante le prove di venerdì aveva avuto un non grave incidente nella discesa verso la stazione, danneggiando la sua monoposto. Era arrivato a Monte Carlo investito da una grossa responsabilità, perché tutti lo indicavano come il favorito del Gran Premio e da parecchi anni il corridore milanese attendeva la sua grande giornata.

Durante la prima parte della gara rimane quasi sempre in seconda posizione, alle spalle di Dennis Hulme, il futuro vincitore, ed a un certo momento (attorno al 66° giro dei cento previsti), era sembrato in grado di acciuffarlo. Ma aveva prima sostenuto una lotta estenuante con John Surtees e successivamente con Jim Clark. Così, quasi all’improvviso, sembrò non farcela più perdendo la sua caratteristica scioltezza di guida. In quel tratto di pista, vicino alla banchina del porto, probabilmente per stanchezza, la sua Ferrari tocca le protezioni, si ribalta e prende fuoco. Bandini rimane imprigionato sotto la vettura: quando i soccorritori lo estraggono dai rottami le fiamme lo hanno spaventosamente ustionato.

Il pilota italiano viene portato al centro ospedaliero Principessa Grace dove i medici lo sottopongono a un intervento chirurgico che dura sei ore. L’operazione è eseguita dal professor Chatelain che pratica a Bandini la tracheotomia e che gli ha asportato la milza spappolata. Il corpo del pilota è per oltre due terzi coperto di ustioni. Ha costole fratturate e lesioni polmonari perché, per tre minuti almeno, tra le fiamme, ha respirato gas incandescenti. Il professor Chatelain, dopo l’intervento, dice che le condizioni del pilota sono disperate: «Abbiamo fatto quanto era possibile per salvarlo. Adesso non ci resta che seguire la sua lotta. Le prossime 48 ore saranno decisive ».

Mercoledì 10 maggio, dopo settanta ore di agonia, Lorenzo Bandini se ne va per sempre. Avrebbe compiuto 32 anni a dicembre.